Stellantis in fuga dall’Italia. E la filiera finisce al tappeto

Scritto il 27/08/2025
da Pierluigi Bonora

Solo con Termoli a rischio 3mila posti. I sindacati: "Favoriti i francesi". E c’è l’autogol sui motori Fire

Il caso Termoli, con i suoi 1.823 lavoratori in solidarietà per un anno, rappresenta una nuova spallata al valore storico del made in Italy legato all'auto. Oltre a impattare direttamente su circa 3mila lavoratori, considerando i 1.200 dell'indotto molisano e soprattutto abruzzese, la conversione dell'impianto alla Gigafactory fantasma, ha di fatto azzerato la produzione dei mitici motori Fire 1.2, fiore all'occhiello delle ex Fiat e Fca. Da Termoli ne sono usciti in tutto 23 milioni, un record. Ma è bastato un colpo di spugna per cancellare questa pietra miliare in nome di una transizione obbligata verso l'elettrico che si rivela sempre più un flop.

«Per Stellantis meglio i motori francesi ex Psa per le auto compatte, quelle che montavano il Fire italiano. È la dimostrazione dello sbilanciamento verso gli interessi del versante transalpino del gruppo», afferma Francesco Guida, segretario Uilm Molise.

Allo stop ai motori si unisce il silenzio sulla Gigafactory da 2 miliardi da parte della joint venture Acc (Stellantis, Mercedes e Total Energies). L'incontro chiarificatore con i sindacati, in agenda a giugno, è stato rinviato. Risultato: la fabbrica di Termoli dovrebbe ripartire tra un anno, mentre i suoi addetti vivranno nell'incertezza con il timore di restare appiedati.

«All'interno di Stellantis sono stati chiaramente favoriti i francesi - ribadisce Guida -: due moduli su tre dell'unica Gigafactory di Acc, guarda caso Oltralpe, funzionano e assicurano batterie. Il capo di Acc, inoltre, è sempre francese e proviene dall'ex Psa: Yann Vincent. Con Termoli è stato congelato anche il progetto tedesco di Kaiserslautern, mentre in Spagna l'altra Gigafactory è in partnership con la cinese Catl. Al nuovo ad Antonio Filosa concediamo il classico semestre bianco, ma poi dovrà dare risposte immediate».

La ritirata progressiva di Stellantis dall'Italia, nonostante le promesse dei vertici, è sempre più evidente. Le ultime rotte su Marocco e Algeria, con i relativi maxi investimenti, lo testimoniano. «La situazione di stallo degli impianti italiani di Stellantis mette a rischio 120mila posti, fornitori compresi, oltre a fare del Paese un deserto industriale», l'allarme lanciato dal leader Uilm, Rocco Palombella. La discussione sul futuro del colosso franco-italiano è a tutto campo e, di fatto, ha tradito le attese del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che fino a pochi mesi fa ha tenuto viva la possibilità di arrivare a produrre 1 milione di auto nel Paese.

Per Domenico De Rosa, ad del gruppo Smet, al cui interno la società Sit Logistics cura la logistica di Stellantis in Europa, sarà il 2026 l'anno decisivo. «Se la normativa Ue - afferma - dovesse cambiare in chiave pragmatica, potrebbe riportare in auge alcune filiere, dare nuova linfa e conservare qualche produzione. Non vedo possibilità di arrivare a 1 milione di auto prodotte in Italia, ma ci si potrebbe stabilizzare sulle 500mila unità. A quel punto ci si chiede come potranno stare in piedi i 5 siti di Stellantis».

Green deal, accelerazione sulla decarbonizzazione e multe anti CO2 sono tra le cause, per De Rosa, che hanno messo in ginocchio il settore. «Stellantis - ricorda il manager - ha sempre acquistato a caro prezzo da Tesla i certificati green, compromettendo così la competitività sull'elettrico con ripercussioni sui costi. E poi c'è la concorrenza asiatica avanti anni luce.

L'ad del gruppo Smet rammenta anche un altro problema per i componentisti che, oltre a Stellantis, hanno la Germania come mercato chiave. «Berlino è in crisi nera e lo stesso vale per l'automotive le cui società stanno pagando l'errore di aver voluto produrre in Cina per poi importare».