Riforme flop e azzardi politici. La scia di errori di Macron che ha mandato il Paese in tilt

Scritto il 27/08/2025
da Francesco De Remigis

Fallito il tentativo di isolare le ali estreme. Il leader senza consenso si rifugia negli esteri

Col tempo, i francesi capiranno e mi perdoneranno. Risale alla primavera 2024 la frase rubata dai cronisti con cui Emmanuel Macron abbozzò l'idea di sciogliere l'Assemblée, andare al voto in piena estate in nome del chiarimento politico e precipitare la Francia in un mondo sconosciuto; quello di una grande potenza motrice dell'Europa che nel giro di pochi mesi, dall'estate scorsa, si è trovata instabile politicamente, incapace di decidere e riformare; fragile economicamente e sempre meno influente anche in aree geografiche di riferimento come l'Africa e il Medio Oriente. In sintesi, per citare Le Figaro, sull'orlo del precipizio.

Al presidente non è riuscito l'azzardo pokeristico deciso sulle spalle di un intero Paese: spingere il sistema istituzionale verso una crisi che avrebbe dovuto sganciare i socialisti dall'estrema sinistra di Mélenchon. E isolare i lepenisti, primo partito alle urne ma tenuti fuori dal governo bocciando la coabitazione. Scelta autoritaria per difendere a oltranza il suo esperimento centrista, anche senza maggioranza, che ha innescato il boomerang: un premier durato meno di tre mesi (Barnier), un altro in avanzato stato di sfiducia (Bayrou). Il Parlamento più frammentato e ingovernabile della storia. E un leader spettatore che spinge sulla drammatizzazione della minaccia russa e del terrorismo islamico per giustificare spese inedite nel bilancio della Difesa, raddoppiato in dieci anni entro il 2027, e su kit di sopravvivenza ai cittadini a cui chiede di esser pronti alla guerra. Fallimento che, dopo mesi di negazione, lo a portato a riconoscere a inizio anno "che lo scioglimento ha portato più divisioni all'Assemblea che soluzioni per il popolo". Crisi interna, provocata e irrisolta. E rifugio nella politica estera: trascinando Parigi verso la produzione di armi in Ucraina mentre in casa albergano aziende in difficoltà, retromarce sul green e rabbia di agricoltori e allevatori per una burocrazia Ue pressoché immutata. A forza di chiedere sacrifici ai francesi, sono tornate ad agitarsi le piazze come non accadeva dal 2019 dei gilet gialli. Fomentate oggi dalla gauche: non per centesimi in più sulla benzina, ma per welfare a rischio e pensioni, visto l'anno "bianco" annunciato dal premier Bayrou: nel 2026 a bilancio la stessa cifra del 2025 senza rivalutarle all'inflazione in nome dell'Himalaya del debito accresciuto dagli stessi macroniani che governano dal 2017. Le ali "estreme" del Parlamento sono sopravvissute e cresciute nei sondaggi. Non la Macronie, in una Francia enigma globale. Erosa dall'interno: con poca crescita e spese in consulenze per ministeri ed enti nati per tamponare le accuse di avere un Eliseo distante dalla Francia profonda. Ecco allora il bene rifugio di Macron, la politica estera. Orfano di consensi, con gradimento al minimo tra il 17 e il 19 per cento, riconoscerà a settembre lo Stato palestinese sul palcoscenico Onu; mentre a Gaza si muore; in Francia la comunità ebraica denuncia assalti e mancata protezione; i media mostrano banlieue incattivite da mancata integrazione; separatismo dei Fratelli musulmani combattuto a colpi di dichiarazioni. E scuole incapaci di arginare il fenomeno dei ragazzini armati in classe: a giugno, un 14enne già espulso per aver tentato di strangolare un compagno ha accoltellato e ucciso una bidella. Di fronte alle critiche per l'insicurezza percepita, Macron ha tacciato le opposizioni di fare il "lavaggio del cervello" su fatti di cronaca: come quando nel 2018 un ragazzo gli disse che stava cercando lavoro senza fortuna, e lui rispose che bastava attraversare la strada per trovarne uno. Negazione della realtà.