La Francia scenderà in piazza il 10 settembre. Due giorni prima François Bayrou chiederà la fiducia al Parlamento, e proporrà una stretta ai conti pubblici: un taglio del deficit di 44 miliardi in 4 anni. Ma la destra di Marine Le Pen e la sinistra di Jean-Luc Mélenchon hanno già detto no e per l'esecutivo potrebbe essere la fine. "Le elezioni anticipate sono un passaggio ragionevole, anzi dovuto", spiega al Giornale Luca Ricolfi, intellettuale e scrittore acuto e politicamente scorretto, mettendo a confronto Parigi e Roma, che oggi raccoglie l'apprezzamento delle agenzie di rating e ha uno spread rassicurante e non più ballerino.
Professore, una volta la Francia era un modello virtuoso per il nostro Paese, oggi non più. Si è capovolta la situazione?
"Non esattamente, per noi il modello virtuoso era semmai la Germania, grazie ai conti pubblici in ordine. La Francia era un modello virtuoso soprattutto per l'efficienza dello Stato, molto meno burocratico, inefficiente, farraginoso e corrotto del nostro".
I grandi giornali francesi hanno elogiato l'Italia e il governo Meloni. Se l'aspettava dopo le critiche durissime contro il presunto ritorno del fascismo a Palazzo Chigi solo tre anni fa?
"Quelle critiche erano frutto di superficialità e pregiudizio. La superficialità rimane, ma i pregiudizi alle volte devono fare i conti con la realtà, come successo negli ultimi due anni".
La società francese è in subbuglio. Si grida: "Blocchiamo tutto". Macron riuscirà a riformare lo Stato?
"Penso proprio di no, per farlo dovrebbe avere una maggioranza solida e un po' di anni davanti. Se ne riparla nel 2027, dovesse farcela a battere Marine Le Pen o Jordan Bardella, se la magistratura francese riuscirà a escludere la leader del Rassemblement National".
L'8 settembre è una data pesante per la storia italiana. Ora potrebbe diventare il giorno in cui cadrà il governo Bayrou. Che cosa succederà a Parigi?
"Il rischio sono le elezioni anticipate. Un passaggio ragionevole, anzi dovuto, visto che la solenne promessa di Macron, fin dalla fondazione del suo partito, era stata di risanare i conti pubblici francesi, e visto che quella promessa non è stata mantenuta".
Oggi la Francia è sinonimo di instabilità e invece il governo Meloni è uno dei più longevi della storia repubblicana. Cosa è cambiato a Roma e Parigi?
"In realtà sia il consenso al governo sia quello alla premier sono sensibilmente diminuiti, come è fisiologico dopo la luna di miele dei primi mesi dopo il voto. Quello che resiste, e anzi tende ad aumentare, è il consenso al partito di Giorgia Meloni, e più in generale allo schieramento di centro-destra. La vera domanda è: come mai il centro-destra aumenta i consensi, visto che la popolarità di Giorgia Meloni è in lenta discesa?".
Già, come mai?
"Penso dipenda dal fatto che il giudizio sulla premier si forma confrontando risultati e aspettative iniziali, mentre quello sulla coalizione si forma comparando i partiti di governo con quelli di centro-sinistra. E il risultato del confronto, grazie alle divisioni fra Schlein-Conte-Fratoianni-Calenda-Renzi, è impietoso per l'opposizione".
Scrive Le Monde: "L'Italia di Giorgia Meloni è attualmente credibile quanto la Francia in materia di finanze pubbliche. O forse di più". È l'Italia che va meglio o al contrario la Francia che peggiora?
"Direi che è soprattutto la Francia che peggiora nella percezione dei mercati, non tanto a causa dei rapporti deficit/Pil o debito/Pil, che sono comparabili ai nostri, ma per due altri motivi: la massa del debito, che è maggiore per la Francia, e la composizione del debito, molto più sbilanciata della nostra verso gli investitori esteri".
Tutti i grandi Paesi europei attraversano una congiuntura difficile. C'è una crisi di sistema in Europa?
"Certo che c'è. Ma a me pare più politica e culturale che economica. Sul piano politico, le guerre in Ucraina e in Palestina ne hanno messo in luce la debolezza militare, le divisioni politiche, e la conseguente incapacità di assumere decisioni in momenti di crisi delle relazioni internazionali: facile andare d'accordo contro il Covid, difficile quando il nemico è Putin. Sul piano culturale, scontiamo la totale incapacità di affrontare in modo efficace e unitario il problema delle migrazioni irregolari. L'interazione fra le due debolezze, politica e culturale, rischia di avere effetti esiziali sulla fragile costruzione europea".