La manifestazione dei metalmeccanici di Genova è stata per lo più pacifica tranne quando il corteo è arrivato davanti alla Prefettura, dove gli operai avrebbero voluto avere un confronto. In assenza delle condizioni di sicurezza, è stato predisposto un cordone di polizia con mezzi, uomini e alari. Uno sbarramento a tutela di un obiettivo sensibile davanti al quale i manifestanti hanno iniziato ad attaccare. C'è stato un lancio di uova ma anche di fumogeni contro il cordone, al quale la polizia ha risposto con un lancio di lacrimogeni, soprattutto perché un gruppo di persone ha sradicato una parte delle reti, aprendo un varco nello sbarramento. Con cavi d'acciaio e trattori industriali sono riusciti a strappare un pannello della grata ma non ci sono stati scontri diretti tra poliziotti e manifestanti. Solo uno degli operai è rimasto lievemente ferito dopo essere stato colpito inavvertitamente da un fumogeno. Eppure, la filosofa Donatella Di Cesare, che è stata candidata con Pasquale Tridico alle recenti elezioni per la Regione Calabria, senza essere eletta, ha fornito una lettura alternativa a quanto accaduto.
"Il lavoro respinto a manganellate. A Genova oggi (ieri, ndr) la polizia ha colpito i lavoratori ex Ilva. Uomini e donne che chiedono soltanto ciò che ogni democrazia dovrebbe proteggere: dignità, lavoro, futuro", ha scritto la filosofa in un post dedicato sui suoi profili social. Ma durante la manifestazione di giovedì non ci sono state cariche di polizia, come ci è stato confermato da fonti autorevoli, nessuno è stato colpito e non ci sono stati manganelli. Questo era ciò che veniva paventato nelle ore precedenti dallo storico esponente Fiom, Franco Grondona, che alla vigilia annunciava che "se necessario ci andiamo a picchiare con le forze di polizia, noi non abbiamo paura. Così finiamo sulle pagine dei giornali e poi sono affari del governo dire che picchiano gli operai che lottano per difendere la fabbrica e l'occupazione a Genova". Una fonte qualificata sentita da Massimo Malpica per ilGiornale ha spiegato che, visto che le autorità italiane erano già a conoscenza di un piano ben architettato, "dal Viminale è stato impartito un ordine molto chiaro: contenere senza cadere alle provocazioni, difendere i target sensibili ma limitare le cariche di alleggerimento allo stretto indispensabile".
E infatti non ce ne sono state. Ma Di Cesare sembra non essersene accorta. "Le immagini ricordano tempi che avremmo voluto consegnare al passato. Una memoria che ritorna, amara, e che ci dice che la soglia tra democrazia e abuso è più fragile di quanto crediamo", si legge ancora. Forse si riferisce alle immagini dei manifestanti, alcuni dei quali anche travisati, che hanno strappato gli alari con i mezzi pesanti mentre la polizia si trovava nelle retrovie. O forse al coro "la Meloni ce lo suca" che è stato intonato durante l'occupazione della stazione di Genova Brignole. E aggiunge che "un operaio resta ferito da un lacrimogeno. La realtà, quella sì, colpisce". Dalle immagini si vede l'uomo con un vistoso bozzo sulla fronte corredato da piccola ferita lacero-contusa, ma nulla di particolare rispetto a quello che sarebbe potuto accadere se la polizia non fosse altamente professionale. "Poi accade sempre lo stesso rituale: se gli operai alzano la voce, diventano 'violenti'; se resistono, diventano 'eversivi'. Così funziona l’ordine che ha paura del dissenso: non vede il dolore, non ascolta la rabbia legittima, ma punisce il corpo che protesta", scrive ancora Di Cesare.
