Quando il presidente Usa Donald Trump dice che l'Europa tra vent'anni sarà "irriconoscibile", con la sua civiltà "cancellata", non si può non pensare a quello che sta per succedere a Bergamo. La città che ha dato i natali a Papa Giovanni XXIII si ritroverà - se la Cassazione non rimetterà tutto in discussione - un'ex chiesa trasformata in moschea, con il placet della magistratura.
Come sappiamo, lo scorso 14 novembre Regione Lombardia ha perso il ricorso contro la vendita dei vecchi ospedali Riuniti, di cui faceva parte una chiesa, finita all'Associazione musulmani di Bergamo, che ha intenzione di trasformarla in un luogo di culto islamico. A nulla è valso la delibera regionale "anti moschee" del 2019, che aveva introdotto regole molto severe per i luoghi di culto, fatta a pezzi dalla Corte costituzionale, né l'impegno del governatore lombardo Attilio Fontana di impedire questo oltraggio alla storia religiosa della Lombardia, che di Pontefici che ha prodotti altri due negli ultimi 200 anni, il brianzolo Pio XI e il bresciano Paolo VI. È stata proprio la Corte d'Appello della città della Leonessa a dar torto al centrodestra, giudicando "discriminatoria" la volontà di Fontana e del Pirellone di "salvaguardare un simbolo della cristianità" e impedire la vendita agli islamici del complesso del vecchio ospedale bergamasco, dismesso nel 2012, messo all'asta dalla Asst Bergamo Ovest nel 2018 e aggiudicato per 450mila euro dall'Associazione musulmani.
La prelazione fu fatta valere solo dopo l'aggiudicazione, bloccando la vendita e il rogito, con l'assegnazione provvisoria al secondo miglior offerente, la Chiesa ortodossa rumena. Da lì il balletto di carte e sentenze rimbalzato da Bergamo, Roma e Brescia, fino all'epilogo con la pubblicazione della sentenza sul Corriere della Sera e la condanna a risarcire con 32mila euro i musulmani.
Come sappiamo, il rischio che le moschee italiane diventino luoghi di proselitismo della jihad è altissimo: basti pensare all'imam di Torino Mohamed Shahin, espulso dall'Italia e trattenuto dal 24 novembre scorso nel Cpr di Caltanissetta dopo la sua "difesa" della strage del 7 ottobre nei kibbuz israeliani da parte di Hamas, definita "non violenta".
La sinistra si è schierata assieme ad Anpi e pro Pal contro l'allontanamento della guida spirituale islamica della moschea di via Saluzzo a Torino, deciso dal ministro dell'Interno Matteo Piantedosi per "motivi di sicurezza dello Stato e di prevenzione del terrorismo" anche per i suoi rapporti con l'islam radicale. Oggi nel capoluogo piemontese è prevista l'ennesima protesta che si annuncia violenta.
La sentenza del tribunale di Brescia dimostra l'asse tra magistratura ideologica, il "partito di Gaza" che salda islam radicale e le istanze antisemite, mentre la Cei - legittimamente - in un documento sulla pace difende il diritto al credo religioso contro "antisemitismo, islamofobia e cristianofobia". Se l'odio contro gli ebrei si alimenta con "una fallace identificazione con le inaccettabili recenti pratiche dello Stato d'Israele", l'islamofobia si nutrirebbe di una "minaccia di islamizzazione dei popoli europei e di una sostituzione etnica". Ma quando a essere sostituite sono le chiese con le moschee, dalle minacce si passa ai fatti. E la preoccupazione aumenta.
